martedì 31 maggio 2011

L'amante di Lady Chatterley: quando l'amore brucia l'anima


Non saprei dire perché ho aspettato tanto per leggere il libro di David Herbert Lawrence.
Penso, soprattutto, per una sorta di sottile pregiudizio che mi ha portato a credere, sino ad ora, si trattasse prevalentemente di una vicenda, si, molto sensuale, ma piuttosto generica. Il sesso e la passione, ma soprattutto il sesso e l’amore, si sa, non procedono sempre sul medesimo binario e il sesso fine a se stesso non ha mai destato in particolar modo la mia attenzione.
Sono stata perciò molto colpita nel rendermi conto che la storia di Lady Chatterley e del suo amante non fosse affatto una sordida relazione clandestina, destinata a durare l’attimo di una fiammata, ma un vero e proprio rapporto d’amore: dolce, sofferto, intenso come solo l’amore può essere.
E mi sono innamorata anche io, di questo libro.
Siamo negli anni 20. Constance, ragazza moderna, colta e sessualmente emancipata, dopo l’università e tutti i piacevoli diversivi che questa comporta, contrae matrimonio con Sir Clifford Chatterley, giovane uomo piacente, unico erede delle miniere di carbone Chatterly.
Il destino beffardo, però, non ha progetti felici per i due neosposi. Dopo una breve luna di miele Clifford si trova infatti costretto a partire per la guerra, da cui tornerà miracolosamente vivo, ma completamente paralizzato dalla vita in giù.
E quando si dice completamente, si intende proprio completamente.
A Connie non resta perciò che ingoiare il rospo amaro e chiudersi le porte di Wragby, la cupa dimora dei Chatterly, alle spalle, divenendo punto di riferimento e ancora di salvezza di un uomo tanto crudelmente disprezzato dal fato.
Ella è infermiera e moglie devota, consigliera e confidente, spalla su cui piangere e unica figura su cui riversare rimpianti e amarezze di una vita tanto brutalmente spezzata.
I due coniugi si isolano sempre più nella loro tetra tenuta, mentre l’egoistica dipendenza di Clifford da Connie inizia a succhiarle più energia di quel che lei possieda, lasciandola ad un passo dal baratro di una pericolosa depressione.
Unica fonte di svago e possibilità di fuga dalle soffocanti mura di Wragby è per Connie l’esteso bosco che circonda la proprietà, in cui ama perdersi in lunghe passeggiate meditative.
Ed è qui che vive Oliver Mellors, il guardiacaccia alle dipendenze di Clifford.
Inutile dire che la figura di Mellors ha avuto il mio amore incondizionato sin dalla sua entrata in scena!
Riccioli rossi e occhi di ghiaccio, Mellors ha in sé il portamento e la dignità dell’uomo nobile, sebbene le sue origini e il suo marcato, e fortemente enfatizzato dialetto dicano tutt’altro.
Perché Mellors è un uomo in fuga dalla vita, e tra le ombre e i folti arbusti del bosco in cui si è ritirato cerca soprattutto anonimato e solitudine.
Un matrimonio sbagliato alle spalle e una brillante carriera militare gettata alle ortiche, l’unica cosa che chiede alla propria esistenza è l’isolamento e la pace che esso comporta, e il solo pensiero di dover fare conversazione con la moglie del padrone che, sempre più spesso, si trova a girovagare nei suoi luoghi è un vero e proprio tormento per il guardaboschi.
Astio e una sottile e pungente ironia sono le uniche armi con cui Mellors, inizialmente, tenta di difendersi da Connie, e da quelle che considera vere e proprie intrusioni al solo scopo di dannargli l’anima.
Ha giurato che mai più nessuna donna sarebbe riuscita a creare scompiglio nella sua vita, men che mai nel suo cuore!
Eppure, deve ammettere a malincuore che Connie, con la sua grazia e la sua malinconia, con la sua freschezza e la sua dolce femminilità lo attrae più di quanto egli vorrebbe.
Il nascere della loro relazione da l’idea di qualcosa che non si poteva evitare: essi sono, infatti, due anime affini, due anime sole e ferite, troppo simili per non riconoscersi e non attirarsi come la luce attira le falene.
Ho trovato assolutamente realistica la prima fase della loro relazione, fatta di un amore ancora acerbo, forse troppo per definirlo tale, ma piuttosto un folle e disperato bisogno di sopire dolori ed emarginazione l’uno tra le braccia dell’altra. E il tentativo, immediatamente successivo, di sfuggire a questo sentimento, perché, è chiaro ad ambedue, sta diventando troppo forte e pericoloso, considerati i rischi cui vanno incontro.
Connie è una lady, e Mellors un dipendente salariato del marito. Un servitore.
Le regole della buona società li vorrebbero sconfitti in partenza.
Ma si sa, il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (cit. Blaise Pascal), e la forte carnalità di cui è fatto il rapporto di Connie e Mellors coinvolgerà presto anche lo spirito, portandoli alla consapevolezza che solo insieme raggiungeranno la felicità a lungo negata ad entrambi, e che battersi per questa felicità appena maturata è tutto ciò che entrambi vogliono.
Per concludere, devo ammettere che quest’opera, a lungo censurata in quanto considerata "il più indecente romanzo del mondo", mi ha conquistata, letteralmente.
Scritta in modo sublime, con accurate descrizioni e un’introspezione dei personaggi degna di uno psicologo, che è quanto di più amo trovare in un buon libro. Essi sono, infatti, tutti finemente rappresentati nelle loro angosce e nei loro più intimi pensieri, tanto da credere siano persone reali che prima o poi avrai il piacere di incontrare: lo sfortunato quanto prolisso e noioso Clifford, la fragile ma tenace Connie, il solitario e passionale Mellors. Ma anche la scaltra e intraprendente signora Bolton, l’infermiera di Clifford che silenziosamente prenderà il posto di Connie nel cuore del padrone, la sorella di Connie, Hilda, tanto brava a professarsi socialista d’avanguardia quanto a confermarsi classista e intimamente razzista, il fatuo e inconcludente Michaelis, scrittore senza infamia ne lode, precedente amante di Constance.
Ti restano addosso, impossibile negarlo.
Magiche e di ‘atmosfera’ le cornici immerse nel silenzio del bosco, dove si consuma la passione dei due amanti, tanto discordanti dallo squallido grigiore di Wragby e dal villaggio dei minatori.
Ben descritte e mai volgari anche le scene di sesso tra i due protagonisti, che all’epoca fecero molto discutere: si avverte pienamente il fuoco che brucia l’anima, la carnalità, la passione, la voglia di scoprirsi come uomo e donna.
E, più di tutto, l’amore.
Entra di diritto nella top ten!

lunedì 9 maggio 2011

Il linguaggio segreto dei fiori


Titolo Il linguaggio segreto dei fiori
Autore Diffenbaugh Vanessa
Dati 2011, 359 p., rilegato
Editore Garzanti Libri(collana Narratori moderni)


Il linguaggio segreto dei fiori si è presentato, prima ancora della pubblicazione, come ‘il caso editoriale del 2011’, pubblicato in contemporanea in 31 paesi, dopo una vera e propria guerra di case editrici per accaparrarsi i suoi diritti. Ed è il primo libro di Vanessa Diffenbaugh.
Le premesse per incuriosire il lettore, o almeno, me come lettrice, in questo caso, ci sono tutte.
Ma devo confessare che in genere, questi cosiddetti ‘casi editoriali’, quelli che mi fanno correre in libreria spinta dalla curiosità esercitata dalla pubblicità sul mio, purtroppo scarso, autocontrollo all’acquisto, si rivelano nel 90% dei casi delle grosse delusioni. Libri dalle splendide copertine rigide che finiscono, inevitabilmente, accumulati in qualche pila disordinata negli angoli (miracolosamente) ancora vuoti della mia stanza.
In questo caso, però, devo dire di essere rimasta soddisfatta dell’acquisto, e, sebbene certo non lo consideri il capolavoro del secolo, si tratta indubbiamente di un buon libro, uno di quelli che ti fanno rimanere attaccata alle pagine perché non riesci proprio a posarlo, tanta è la voglia di andare avanti, e che alla fine, ti portano a domandarti se per caso non sia possibile recuperare da qualche parte il numero dell’autore, perché in fondo, vorresti un ulteriore seguito sugli sviluppi delle vite dei personaggi.
Ed ecco il nodo cruciale, cui, suppongo, sia legata la fortuna di questo libro. I personaggi, o meglio, il personaggio, Victoria, la protagonista, nonché voce narrante.
Victoria Jones, abbandonata nella culla a poche settimane di vita, passa tutta la propria infanzia da un’adozione sbagliata a quell’altra, collezionando famiglie putative come fossero figurine, e, allo stesso tempo, chiudendosi sempre più in se stessa, reduce da un’esperienza tanto traumatica quanto devastante. Fino all’incontro con Elisabeth, che le insegnerà il linguaggio dei fiori, e sarà, seppur per poco, l’unica vera madre che Victoria abbia mai conosciuto, prima che la fatalità la riporti in una casa famiglia da cui non uscirà che al compimento del suoi diciotto anni.
Ora, Victoria è libera e padrona di sé stessa: con sé non ha che pochi vestiti smessi, e un dizionario dei fiori. Perché, col tempo, quel linguaggio, il linguaggio usato dai poeti vittoriani nelle poesie romantiche, è l’unico con cui lei riesca ad esprimersi, ben consapevole che in fondo, non siano poi molte le persone in grado di comprenderlo realmente.
Tranne Grant, il misterioso fioraio del mercato dei fiori, che, inspiegabilmente, sembra sapere molte cose su di lei.
Con l’evolversi della storia, veniamo pian piano a conoscenza del passato di Victoria: conosciamo le sue sofferenze e i motivi del suo comportamento schivo grazie ad un ingegnoso sistema di flash back che alterna passato e presente lasciandoci scorgere come, in fondo, la bambina sola e abbandonata che Victoria è stata non se ne sia mai andata. Entriamo nel vivo del suo rapporto con Elisabeth, e degli strascichi che il loro distacco ha causato. Scopriamo l’identità di Grant, che arriva direttamente dal passato della ragazza, e che con lei condivide un segreto troppo doloroso da riportare in superficie. E ci innamoriamo sempre più di questo personaggio complesso e tormentato, con un passato terribile, ma una forza di volontà ferrea, che le permetterà di riscattare gli errori del proprio passato, con indubbia difficoltà, certo, ma quella difficoltà che non farà altro che renderla più umana possibile, agli occhi del lettore.
E’ sostanzialmente una storia di riscatto, questa. E’ una storia di infanzie segnate, rubate. Di madri e figlie. Di rapporti difficili, di silenzi e incomprensioni.
Ma è anche una luminosa storia d’amore, una risalita dalle tenebre, un inno alla speranza.
E’ un libro denso di emozioni, avvolto dalla dolce fragranza dei fiori. Decisamente da leggere.

Una curiosità, anzi, due: il libro è disponibile con quattro diverse copertine, così ognuno potrà scegliere quella più complementare.
La rosa: grazie ed eleganza.
La gerbera: allegria.
La camomilla: forza nelle difficoltà
Buganvillea: passione

Alla fine del romanzo, è stato inserito il dizionario di Victoria con tutti i significati dei fiori. Davvero una piccola chicca.

lunedì 2 maggio 2011

Share one day: a painting

Aderisco con molto piacere all'iniziativa lanciata da Mens sana di condividere un quadro che ci piace e commentarlo.

Il quadro che ho scelto è Sogni, dipinto da Vittorio Matteo Corcos nel 1896.


Mi ci sono trovata davanti quasi per caso visitando il museo d’arte moderna di Roma, un paio di mesi fa, e mi ha colpito moltissimo. Naturalmente, conoscevo già il quadro, ma come sempre vederlo dal vivo è ben altra cosa.
La tela raffigura una donna che ha da poco abbandonato la lettura, come confermano i volumi impilati al suo fianco, mentre il suo sguardo, fisso, pare stia inseguendo il filo di un pensiero.
Guarda lo spettatore, ma in verità, è come se non lo vedesse affatto, troppo assorta in quelli che il pittore ha sapientemente definito ‘sogni’.


A colpirmi, di questo quadro, oltre all'indubbio talento dell'artista, è stato soprattutto il senso di comunione avvertito con questa donna, che in verità non so nemmeno chi sia (facendo una ricerca ho trovato opinioni discordanti circa la sua identità) ma con cui sento di avere qualcosa in comune: quell’espressione rapita, vagamente accigliata, che spesso accompagna un dopo-lettura.
Se vogliamo scavare più a fondo, all’interno di questo quadro, noteremo altri particolari che potrebbero portare a scoprire il mistero che aleggia negli occhi della donna.
Sulla panchina, al suo fianco, sono posati un cappellino di paglia ed un prendisole, segno inequivocabile che la tela è stata dipinta durante la bella stagione, ma le foglie gialle che cospargono il terreno ai piedi della figura suggeriscono si tratti piuttosto della fine dell’estate.


Allo stesso modo, la rosa sfiorita accanto ai libri, richiama la fine di qualcosa, forse proprio quel qualcosa sul quale la protagonista del quadro sta riflettendo, e che mi piace immaginare sia la fine della storia che ha appena terminato di leggere.
Quando un libro è buono, quante volte ci siamo trovati con questa espressione sul volto a fine lettura?
Quel senso di abbandono, quella dolce amarezza per la fine di un piacevole percorso, quel lasciarsi illuminare dagli ultimi bagliori che il libro ha acceso in noi.
Se il titolo non fosse stato Sogni, avrebbe potuto essere
Nostalgia, per come lo interpreto. Quella piccola nostalgia che ti avvolge quando devi riporre un libro che ti ha tenuto compagnia per un certo periodo, non è forse come la fine dell'estate?
Questo quadro, magnifico visto dal vivo, ha suscitato in me un sentimento di forte comprensione.
‘Ti capisco’, avrei potuto dirle, quasi fosse stata reale, e non semplice colore su una tela.
Ma in fondo, non si tratta affatto di semplice colore sulla tela. Quando l’arte ti porta a provare una simile empatia per un soggetto, ha raggiunto il suo scopo.

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